
#IOVOGLIOINSEGNARE
Contro il nuovo sistema di accesso all’insegnamento, per un altro modello di formazione docenti: tagliare sulla formazione dellɜ insegnanti vuol dire tagliare sul futuro della scuola!
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La riforma Bianchi, nell’ambito del PNRR, ha comportato un radicale cambiamento del sistema reclutamento dellɜ insegnanti e noi ne subiamo le conseguenze. Le responsabilità del Ministero dell’Istruzione e del Merito, così come anche del Ministero dell’Università e della Ricerca sono evidenti.
Come futurɜ docenti non possiamo accettare la condizione di attuale indeterminatezza che stiamo vivendo e in cui si sta lasciando la prossima generazione di insegnanti, e quindi di studenti, di questo Paese.
Cambiare la qualità della didattica vuol dire anche interrogarsi sul modello di formazione che vogliamo garantire, a partire dalle scuole. Ciò non è possibile nel momento in cui i percorsi di abilitazione all’insegnamento da 30, 36 e 60 CFU attivati con l’attuale riforma non sono finanziati a livello ministeriale e sono dunque a carico di studenti e precariɜ con prezzi che raggiungono i €2.500.
La possibilità di erogare i corsi parzialmente in modalità telematica sta favorendo di gran lunga le università private, a scapito delle università pubbliche che ancora hanno difficoltà a riorganizzarsi in questo nuovo modello di formazione docenti. Valditara e Bernini, mettendo in pratica questa riforma in tali modalità, stanno dunque mettendo in crisi la scuola pubblica in favore del profitto delle università telematiche private, che lucrano sullɜ aspiranti insegnanti.
Il modello di accesso al percorso a numero chiuso impone un doppio sbarramento all’accesso: una volta superata la selezione per titoli prevista per frequentare e completare il percorso, oltre allo svolgimento della prova finale sostenendo un’ulteriore spesa di €150, sarà comunque necessario partecipare al concorso, trasformando l’accesso all’insegnamento in un’insormontabile corsa a ostacoli.
Il meccanismo di suddivisione per classi di concorso, in più, costringe chi vuole abilitarsi a più classi a ripetere il percorso, in una forma ridotta di 30 CFU alla cifra di 2.000€.
Oltre allo sbarramento esplicito, c’è anche un limite ulteriore causato dalle modalità di erogazione dei percorsi. Non esiste garanzia di trovare la propria classe di concorso nel proprio ateneo o anche solo nella propria regione, a causa, specialmente al Sud, dell’unione in macro aree interregionali di diversi atenei che hanno attivato classi di concorso.
Non stupisce, infatti, che le regioni dove vi siano il maggior numero di classi di concorso a “bisogno zero”, ovvero dove non siano previsti posti da attivare, siano proprio quelle nel meridione.
Siamo di fronte ad una precisa idea di Paese e ad un preciso progetto di insegnamento. Fra le molte classi non attivate, la maggior parte sono quelle di area umanistica, imponendo un modello produttivista nella formazione dellɜ futurɜ insegnanti e anche nella scuola. Con l’attuale situazione del mercato abitativo e del trasporto pubblico locale, inoltre, la possibilità di essere fuorisede o pendolare è accessibile a davvero pochɜ studenti.
Anche l’introduzione dell’Autonomia Differenziata andrà a modificare l’accesso ai concorsi e all’insegnamento, in quanto le regioni potranno inserire criteri sulla residenza e sulla regionalità degli iscritti al concorso.
Tutto ciò non rende assolutamente giustizia ad una professione che è già profondamente delegittimata, tanto dal lato amministrativo quanto dal lato sociale. Oltre ai tagli al comparto scuola a cui assistiamo allo scandire di ogni nuova manovra finanziaria, siamo testimoni di un continuo sfruttamento della femminilizzazione del ruolo docente e delle aspettative associate al lavoro di cura, depotenziando la dimensione intellettuale, creativa e critica che dovrebbe caratterizzare l’insegnamento, il quale è invece sempre più svuotato della possibilità di promuovere una didattica dissidente rispetto ai paradigmi del potere.
Il criterio per selezionare lɜ aspiranti insegnanti non può materializzarsi nella possibilità di pagare €2.500 e di non lavorare per un anno, abbiamo bisogno di finanziamenti ministeriali strutturali che tendano alla completa gratuità dei percorsi di accesso alla professione. Risulta di fondamentale importanza garantire che le risorse siano distribuite agli atenei in maniera trasparente. Infine, è necessaria una maggiore integrazione dei percorsi di abilitazione all’interno dei piani di studio dei corsi di laurea, contestualmente ad un adeguato riconoscimento dei CFU totalizzati durante attività formative già svolte in carriere pregresse.
Ad oggi alla scuola italiana mancano oltre 19.000 cattedre, che vengono coperte tramite le supplenze, a fronte di 250.000 precariɜ tra docenti e personale. Questa riforma non può che peggiorare la situazione, creando un imbuto estremamente selettivo per l’accesso alla professione di insegnante. Se questa riforma non dovesse essere modificata, tra gli effetti sul lungo termine sulle scuole ci saranno delle conseguenze inevitabili, ovvero: l’aumento delle classi pollaio a fronte della diminuzione dei docenti, l’ennesimo colpo alla continuità didattica e infine una maggiore forza alle scuole private.
Per far sentire la nostra voce come studenti, precariɜ e futurɜ insegnanti scendiamo in piazza, come abbiamo già fatto lo scorso 21 aprile 2024, insieme per ribellarci contro questa riforma, per chiedere un altro modello di accesso all’insegnamento, perché senza scuola non c’è futuro.